Sergio Rossomalpelo Gaggiotti, il nuovo disco “CARO LUCIO RISPONDO”, intervista: “se posso esprimere un sogno allora citerei Morandi, Mina, Harper, Zero, Gassman, Haber, Vasco, Springsteen, Capossela, Buena Vista Social Club, in sostanza tutti grandi d’età ma sarei felice di scrivere del FreeRock spintissimo anche con i giovanissimi Maneskin”

Sergio Rossomalpelo Gaggiotti

Sergio Rossomalpelo Gaggiotti, formidabile musicista e scrittore, regala alla scena musicale un album straordinario, “CARO LUCIO TI SCRIVO“, un autentico capolavoro, intenso e raffinato, disponibile dal 4 Marzo, uno splendido omaggio a Lucio Dalla. Inoltre il disco contiene anche il singolo radiofonico “Arance amare” in uscita sempre il 4 marzo.

Sergio Rossomalpelo Gaggiotti, attivo dal 2003, ha pubblicato quattro libri di racconti e tre sceneggiature teatrali delle quali ha curato anche la parte musicale. Nel 2003 pubblica i primi progetti musicali: “Rossomalpelo” (2003) e “PaDaPè” (2005) seguito dalla colonna sonora “Socrates is dead” (de: Socrates is dead – Romeo, Libri, Ita. 2008). Il terzo album “Con il pelo e con il vizio“ esce invece nel 2010 a pochi mesi di distanza da “Il muro nel deserto” (Colonna sonora de: Il muro nel deserto, Corto, Usa, 2010). L’ultimo full-lenght rilasciato è stato Piccolo “Possibilario del Necessibile” (2018). È stato inoltre arrangiatore e direttore artistico per il primo disco dei “Presi per caso”, gruppo musicale interno al carcere di Rebibbia oggi ancora attivo. CARO LUCIO RISPONDO” (Red Phonics Records) è il nuovo disco di Sergio Rossomalpelo Gaggiotti disponibile su tutte le piattaforme digitali il 4 marzo 2022.

Il magazine Emozionienozioni ha ospitato Sergio Rossomalpelo Gaggiotti per un’un’intervista esclusiva tra riflessioni e novità.

Sei un artista estremamente particolare e profondo, qual è la tua prima reminiscenza legata alla musica?

Se posso osare dando al sostantivo “Reminiscenza” il significato di ricordo vago o nebbioso direi che ho culturalmente assorbito la forma canzone che amava mio padre: cioè la musica scritta per i grandi film del passato e la canzone popolare romana. Conservo dentro il piacere per l’ascolto dell’orchestrazione sinfonica e di conseguenza, quando scrivo le mie armonie, lo faccio pensando di realizzare un’opera per orchestra anche se poi la si dovrà suonare in una formazione più ristretta come un classico gruppo Pop. I miei ricordi più lontani legati alla musica, legati soprattutto ad un periodo durante il quale non ne ero affatto attratto, riguardano quindi Gabriella Ferri, i suoi racconti strazianti interpretati su armonie dai movimenti intuibili e semplici da ricordare. Gli stornelli non volgari di una Roma che davvero non esiste più, poi i classici del cinema dei quali conoscevo la colonna sonora ma che non avevo mai visto, ricordo il suo amore per Gaber, Jannacci, Fo, 007, Fracchia e poi Fantozzi e potrei citarne molti altri; non comprendevo, ma evidentemente tutto questo mi è rimasto dentro.

Sergio Rossomalpelo Gaggiotti

In quale emozione ti rispecchi quando canti?

Domanda complicata questa, i miei brani raccontano storie per le quali ho sentito forte l’impulso di reagire e di solito, appunto, lo faccio scrivendoci su. Quindi sono molteplici le emozioni che esondano durante un concerto. Non sono così professionale da interpretare i miei brani senza sentirmi coinvolto quindi volendo rispondere più precisamente, l’emozione che sento più forte è quella che rappresenta il timore di non riuscire a finire un brano per via di un possibile, incontrollabile coinvolgimento.

Quali figure hanno avuto un ascendente particolare sul tuo percorso musicale?

Stranamente il mio percorso musicale, a parte l’amore per la sinfonia in generale, è strettamente legato al testo, alla narrazione e al racconto. Molti artisti quindi hanno avuto influenza ma non ho mai amato qualcuno al di sopra di altri; in sostanza non ho mai avuto un mio artista preferito. Per non raccontarvi dei classici dei quali sappiamo tutto e che io stesso citerei, posso però segnalare alcune figure interessanti e pressoché sconosciute come Michele Luciano Straniero e il giro del “Cantacronache”, narrazioni che non ritenevo ripetibili o percorso mio da intraprendere, ma percorso artistico già narrato e quindi valevole di analisi. Il “progressive” italiano però ha segnato la mia adolescenza, quindi potrei dire per esempio che la PFM mi ha fatto scoprire il mondo del possibile uso dell’italiano nel Rock. Vasco Rossi, Il Banco del Mutuo soccorso e poi tanti personaggi che non sono mai emersi ma con i quali ho condiviso palchi e nottate a parlare di musica e possibili strade.

Cos’è la musica nella tua quotidianità?

Studio e salvezza. Il mondo dal quale si esce quasi sempre sconfitti e stanchi di ripetersi che non si sarà mai all’altezza; il mondo che salva dal resto che preme e violentemente invade spazi privati, intimi e necessari. Lo spazio infinito dove si resta smarriti a pensare quanta strada c’è sempre da fare che non se ne vede la fine. La musica è come il mare, un moto continuo di onde che mai si somigliano ma suonano insieme sempre diverse, dissimili al punto che ci si perde se lo si vuole capire.

Il tuo nuovo disco “CARO LUCIO RISPONDO”, introspettivo e incisivo, evoca pensieri autentici e importanti. Qual è la genesi dell’album?

Semplice volontà di raccontare questo nostro ultimo tempo assurdo e violento. Distanze sociali, paure ancestrali, morti mietute dalla forma invisibile del male. Ho subito, come tutti. Ho vissuto costretto a guardare la città da dietro i vetri di una finestra e ad ascoltarne il silenzio assordante. A risuonare erano sempre sirene d’ambulanza e il loro effetto Larsen svelava il senso di ognuno di quei viaggi: arrivavano a prendere o portavano via. Al sicuro di un assediato caldo di casa, il fuori è diventato ostile, minaccioso, disumano. Assurdo, impossibile da credere, da vivere, assurdo nuovo modo di vedere le cose. Così ho usato la sola arma che conosco per esorcizzare i pensieri peggiori: la scrittura e la musica. Ho poi immaginato di dare seguito al primo pensiero pensato al momento del primo ascolto de “L’anno che verrà” di Lucio Dalla: “Vorrei rispondergli io a questo qui”. Alla fine, solo oggi, dopo tutti gli anni che sono passati dall’uscita di quel brano, l’ho fatto: ho risposto a Lucio raccontandogli di questo nostro tempo presente da lui solo immaginato come suo futuro. Semplicemente questo. Quando un amico ti scrive è obbligatorio rispondere. Non era mio amico, ma credo che ognuno di noi quando legge o ascolta un testo, si senta destinatario di quelle parole e così io mi sono sentito l’amico che ricevuta la lettera, con molto ritardo, risponde.

“CARO LUCIO RISPONDO” è un disco che rapisce fin dal primo ascolto, è davvero unico, è fortemente d’impatto e intimista. Quanto avverti la responsabilità dei messaggi che trasmetti attraverso la tua musica?

Non sento responsabilità riguardo al messaggio, non nei termini che credo di comprendere dalla domanda. Sento l’obbligo di raccontare fatti, persone, emozioni, il mio totale impegno è rivolto alla esatta traduzione di ciò che ho in mente, alla sua presentazione. Ciò che sento di dover rispettare e quindi fonte di preoccupazione in quanto a peso e responsabilità è l’ambito del rispetto verso la storia o il personaggio di cui narro vicende. Mai una persona fisicamente rintracciabile ma personaggio la cui vicenda o storia può valere come narrazione estendibile ad un universo di facenti parte dello stesso ambito. Mi preoccupo di non offendere, di non trattare in termini superficiali le vicende o le persone, se questo è sentire responsabilità allora sì, la sento forte, ma il messaggio che giunge non può farmi sentire responsabile, non è mio ambito “lavorativo” ciò che poi se ne deduce; le parole nella maggior parte dei casi non sono interpretabili se come nel mio caso, non desidero lo siano; io scrivo affinché si comprenda ciò che io voglio che si comprenda. Credo poi che l’interpretazione di un brano, di un testo in generale, sia privato assorbimento e difficilmente discutibile; certo ci sono stati brani che mi hanno fatto guadagnare “Censura”, ma appunto io non mi preoccupo di come vengono compresi i testi, se poi ad offendersi e a censurarmi sono gli stessi che con molta probabilità hanno creato il problema o l’evento di cui narro, il problema non è mio anche se ne devo pagare le conseguenze.

Il tuo nuovo singolo “ARANCE AMARE” evidenzia l’importanza di credere con fervore nei propri desideri, quanto credi che la musica possa accendere la luce dei sogni?

La musica trasporta altrove, se poi è collegata al testo è in grado anche di sorprenderti lasciandoti scoprire percorsi alternativi alla realtà vissuta, al presente ottenebrato da problemi; la musica è libertà che tra vincoli perfetti e regole passa attraverso tutti i muri che gli uomini possono erigere. Se poi a scriverla siamo noi stessi allora diventa arma infallibile d’abbattimento, la musica ti libera anche quando sei “costretto” e libera inimmaginabili percorsi che solo attraverso i sogni posso essere compresi o anche solamente percepiti, spesso il sogno non resta tale, spesso diventa strada sulla quale poggiare i propri passi, certo non è soltanto la musica che dona questo potere, ma di sicuro è una delle arti che può facilitarne lo sviluppo.

Il videoclip del tuo nuovo singolo, “ARANCE AMARE” è notevolmente suggestivo, come ha preso forma?

Come per il disco ho agito da solo. Come per il disco, scritto, registrato e portato a termine in assoluta “Autarchia”, ho semplicemente deciso di farlo sfruttando ciò che avevo a disposizione e cioè una stanza, una fotocamera non professionale e le lampade di casa. Questo non fa di me un bravo musicista o un bravo arrangiatore, come non fa di me un bravo regista, non raggiungerei neanche “uno” alle prime armi in tutti gli ambiti in cui mi posso cimentare, tutto questo fa di me però l’unico che si assume la responsabilità e sceglie di portare avanti un’idea fino al punto di metterci la faccia mostrandomi per quello che sono: un uomo che cerca di rendere reali le cose che immagina. Non mi spaventa cimentarmi in ambiti non miei, oso, gioco, invento, mi diverte, so che non “realizzo” con l’intento di apparire il migliore o anche solamente bravo, io creo e questo mi basta. Non c’è supponenza o arroganza, c’è voglia di fare e studiare la strada migliore per arrivare a tradurre le idee in qualcosa di tangibile come una canzone, come un racconto, come un video musicale. Tutto è perfettibile, per questo porto a termine, così poi posso ripartire con un altro pazzo sogno.

Qual è il motto che sposi assiduamente?

Tra quello che c’è non manca niente”. Una frase che ho sentito da mio nonno, la ripeteva spessissimo, quasi un intercalare tra le migliaia di frasi che mi ha lasciato come preziosissima eredità. L’ho compresa solo da adulto e da adulto la seguo. In fondo poi, se tra ciò che si possiede non manca nulla, si possiede tutto e di conseguenza si è ricchi di tutto.

Con quali artisti gradiresti realizzare un featuring?

Ecco, questa è una domanda difficile, direi con tutti ma non tutti lo farebbero con me quindi, se posso esprimere un sogno allora citerei Morandi, Mina, Harper, Zero, Gassman, Haber, Vasco, Springsteen, Capossela, Buena Vista Social Club, in sostanza tutti grandi d’età ma sarei felice di scrivere del FreeRock spintissimo anche con i giovanissimi Maneskin …

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