Reel Tape, intervista esclusiva: “presto inizieremo a pubblicare le date dei prossimi live”

Reel Tape

Reel Tape, gruppo musicale che attraverso la sua musica emana una luce sfavillante, formatosi nel 2017, composto da Lorenzo Franci, Lorenzo Cecchi, Lorenzo Nofroni, Lorenzo Guenzi e Alessandro Lattughini.

Abbiamo raggiunto Lorenzo Cecchi dei Reel Tape per un’esclusiva intervista.

Come è nato il gruppo?

Il progetto è iniziato dall’idea di tre amici, Lorenzo Franci – tornato a Firenze dopo anni a Londra – il sottoscritto Lorenzo Cecchi e Lorenzo Nofroni  (sì, tutti omonimi… ) , di provare a ibridare le proprie influenze musicali con lo strumento espressivo dei campioni vocali, dopo aver assistito ad un folgorante concerto dei Public Service Broadcasting. Da questo il nome del gruppo, che fa riferimento al cutting & splicing delle bobine a nastro cinematografiche. Hanno poi completato il gruppo pochi mesi dopo il batterista bolognese Lorenzo Guenzi e il cantante Alessandro Lattughini, originario di La Spezia. Ognuno di noi cinque proviene da percorsi musicali differenti, tutti avevamo già esperienze in varie band locali, non necessariamente dello stesso genere, e questa eterogeneità si è poi riflessa anche nei brani dell’album, che oscillano tra post-rock, alternative, funky, dream-pop e psichedelia.

Il gruppo esiste da quanto tempo?

Le primissime prove risalgono al 2017, con il batterista inglese Adam Bailey, poi trasferitosi ad Amsterdam per lavoro,  ma è nel 2018 che il progetto ha preso una forma più definita e con gli attuali componenti.

Come nasce una canzone, e quando capite che è pronta per essere pubblicata?

Generalmente nasce prima la musica, che è la parte più istintiva ed epidermica: in alcuni casi un brano arriva già con una struttura precisa nel momento in cui viene portato in sala prove – i primi erano soprattutto miei e di Alessandro – e viene poi arrangiato dal gruppo, ma con il tempo abbiamo maturato una sempre maggiore capacità di scrittura collettiva. Per quanto riguarda i testi spesso siamo partiti proprio dai campioni vocali come estratti presi dalla realtà e dall’attualità e inseriti nei brani come un’istantanea (s)oggettiva, e i testi nascono come conseguenza, come una trama emotiva che riflette l’eco delle sensazioni,  inquietudini e suggestioni impresse dai campioni stessi. Qualche frammento di testo può nascere anche da un’esperienza personale, da un sogno, da un viaggio. Ma questo vuole essere anzitutto un album sull’osservazione della realtà, e sulla necessità di cambiarla profondamente. Non è facile decidere che un brano è pronto per essere pubblicato, a volte serve anche un giudizio esterno, per evitare di continuare in un lavoro ossessivo di rifinitura. Qualche volta però suonandola o riascoltandola insieme ci accorgiamo che è scattato qualcosa, che semplicemente funziona. Il lavoro di Matteo Magrini che ha prodotto l’album (registrazioni, mix e master), è stato assolutamente decisivo e di grande qualità. Passiamo più in generale all’album, “Fences”, uscito questo 25 febbraio. “Fences” è un album dedicato interamente al tema delle barriere e dei confini, declinato in 12 modi diversi: da quelli fisici e politici di “Brexit” e “The Fence” (sul muro Messico-USA), alle barriere architettoniche di H-Play, a quelle psichiche in NOF4 e in Stronghold (sul fenomeno Hikikomori), all’incomunicabilità tra le persone, alle barriere sociali ed esistenziali, allo sradicamento uomo-ambiente. Vuole essere anzitutto un album sull’osservazione della realtà, e sulla necessità di trasformarla radicalmente. Per questo l’intro strumentale, 10.000 miles away, con i samples di Armstrong e Gagarin, è una sorta di sguardo distaccato che dallo spazio si avvicina progressivamente alla Terra, provando a metterla a fuoco per intero, senza le divisioni create dall’uomo. Ma anche a livello musicale l’album cambia spesso stile, atmosfera, persino genere, talvolta anche all’interno dello stesso brano, con qualche sorpresa che credo chi ascolta saprà apprezzare.

C’è una traccia particolare, “Fake Bloom”. Cosa volevate raccontare?

E’ un brano nato dalla sensazione di distacco e sradicamento dalla natura, dall’impotenza di fronte alle conseguenze del rapporto distorto tra uomo e pianeta, e dall’energia delle folle di ragazzi scesi in piazza per la crisi climatica. Nella ritmica serrata del brano abbiamo inserito la voce di Murray Bookchin, filosofo e attivista fondatore dell’ecologia sociale, che ci ricorda l’assurdo tentativo dell’uomo di dominare la natura, che inevitabilmente si scontra con la limitatezza delle risorse e con la crescente minaccia del climate change. Nel testo risuona l’eco della frustrazione e dell’angoscia per un equilibrio che appare ormai destinato a spezzarsi, ma anche il desiderio di battersi per una società più equa e sostenibile.

Il video musicale di “Fake Bloom” è alquanto particolare, sia per le immagini sia per la location. Perché avete scelto la base NATO?

Volevamo provare a descrivere la sensazione di straniamento, impotenza e preoccupazione di fronte alla minaccia del cambiamento climatico, e per farlo cercavamo un luogo surreale, delle immagini potenti e inquietanti. La ricerca ci ha portati alla base NATO abbandonata del Monte Giogo a 1500 m, con un lungo viaggio per raggiungerla e qualche rischio per effettuare le riprese… Le sue enormi parabole venivano utilizzate per la trasmissione troposferica di comunicazioni criptate, provenienti dalla Turchia, prevalentemente per spiare il blocco sovietico. Abbandonata nel 1995, fu attiva per tutto il periodo della guerra fredda, e certamente lo scorso settembre, quando abbiamo girato, non immaginavamo che questa ambientazione avrebbe richiamato ulteriori inquietudini, legate alla follia della guerra in corso. Nel video le riprese della base si alternano con immagini che richiamano disastri naturali, ed improbabili esperimenti (pseudo)scientifici, anche ai danni di piantine innocenti. Il tema del rapporto distorto tra uomo e natura viene così evocato, non senza un pizzico di amara ironia. Il soggetto è stato interamente curato dai Reel Tape, mentre le riprese sono di Francesco Coschino, Maurizio Scuiar e Leonardo Roina, per la regia di Lorenzo Guenzi.

Perché cantare in inglese?

Premetto che trattando di confini abbiamo voluto che l’album fosse una piccola babele, ci sono molti brani in inglese, ma due sono invece in italiano, e i campioni vocali sono anche in spagnolo, russo, islandese, giapponese, a seconda del tema trattato. L’uso dell’inglese, oltre che con l’oggetto dei brani (ad es. La Brexit, il muro Messico-USA ecc.) ha molto a che vedere con la nostra formazione musicale e i nostri riferimenti, prevalentemente anglofoni. Di “Diamond Shaped Pills” per esempio esiste anche una versione con testo in italiano, completamente diverso però. E’ come usare due tavolozze di colori differenti, e per noi il suono delle parole nei brani conta quasi quanto il loro significato.

Ascoltandovi, mi avete richiamato alla mente i Red Hot Chili Peppers. Ho indovinato a livello di cantanti di riferimento?

Sicuramente sono una delle influenze, ad esempio in Outer Space View, l’ultimo pezzo. Però i nostri singoli background musicali sono piuttosto diversi, e questa è anche un po’ la forza  dell’album:  mi viene a mente la metafora del tendone da circo, in cui ognuno tira in una direzione diversa e questo sforzo apparentemente disarticolato permette però poi di alzare il tendone… In parte noi funzioniamo proprio così, armonizzando le nostre differenze. Naturalmente ci sono dei riferimenti musicali condivisi, comunque:  i Public Service Broadcasting su tutti, e poi REM,  Radiohead, e ancora Smashing Pumpkins, Mogwai, David Bowie, Kurt Vile, Blur, Sigur Rós, Cocteau Twins e molti altri…

Oggi, musicalmente, come si possono definire i Reel Tape?

E’ sempre più difficile utilizzare un’etichetta per catalogare la musica, ogni definizione rischia di essere parziale, ma probabilmente quelle che si avvicinano di più sono “alternative rock” e “post rock”. “Post Tube” è invece il modo in cui chiamiamo il nostro modo di estrarre campioni dall’attualità e da contesti reali, usandoli poi come una sorta di alfabeto caotico e provando a dar loro un senso all’interno delle canzoni.

È controcorrente essere una band nel 2022?

Forse sì, sicuramente è molto meno comune di quanto lo era anni fa. Lo è forse un po’ anche ostinarsi a non seguire l’onda dei generi che prevalgono negli ultimi anni. Avrebbe comunque poco senso, dal nostro punto di vista, inseguirli artificiosamente senza sentirsi davvero parte di un certo “movimento” musicale. Quindi da un lato restiamo legati alle nostre “radici”, dall’altro cerchiamo di rielaborarle alla luce delle sonorità di oggi.

È uscito l’album, è previsto un tour?

Sì, stiamo organizzando delle date, la pandemia ha complicato tutto, e in più abbiamo dovuto affrontare la sostituzione di un componente del gruppo, ma sui nostri canali social (Facebook, Instagram e Twitter) presto inizieremo a pubblicare le date dei prossimi live, quindi continuate a seguirci!

Reel Tape su Spotify

https://open.spotify.com/artist/3pOFHDWr9mbBLE4GHBWUzG