POLO TERRITORIALE: “‘Dimmi’ vuole essere un invito a raccontarsi” – intervista

POLO TERRITORIALE: "'Dimmi' vuole essere un invito a raccontarsi"

Abbiamo avuto il privilegio di intervistare i Polo Territoriale, una band che con il loro album d’esordio, Dimmi, ci offre un affascinante viaggio nel cuore della gioventù, in tutta la sua turbolenta intensità. Questo disco, che segna un punto di svolta significativo nella loro carriera, esplora sonorità che spaziano dal pop punk energico e disincantato all’alternative rock più profondo e introspettivo, immergendoci in un dialogo tra l’energia giovanile e la riflessione più matura. Ogni brano, carico di memoria e di esperienza, è una finestra aperta sulle sfide quotidiane e sulle contraddizioni che caratterizzano il percorso di crescita personale e collettiva. Con un linguaggio crudo e autentico, i Polo Territoriale raccontano storie di vita vissuta, di difficoltà psicologiche e sociali, ma anche di amore e sogni.

Con l’album Dimmi, ci portate in un viaggio attraverso gli anni formativi e turbolenti della vostra band, esplorando suoni che spaziano dal pop punk al rock alternativo più introspettivo. Quali emozioni e ricordi avete voluto immortalare in questo esordio, e in che modo ogni brano rappresenta un capitolo della vostra evoluzione?

Si può dire che Dimmi sia un concentrato di 4-5 anni di evoluzione personale ed artistica. Da quattro ragazzini che vanno la prima volta in saletta a 4 ragazzini, un po’ più cresciuti, che provano effettivamente a creare qualcosa con una coerenza artistica. Ogni canzone, dalla più leggera alla più introspettiva, racconta un bisogno fondamentalmente, siamo noi che parliamo con toni più o meno seri di un disagio che ci ha riguardato e che abbiamo vissuto direttamente o indirettamente.

Le canzoni di Dimmi affrontano con audacia temi complessi come l’abuso di sostanze, l’amore giovanile ei turbamenti psicologici. Come avete trasformato questi argomenti delicati in musica, e cosa sperate di poter trasmettere il vostro racconto al pubblico?

Probabilmente la chiave è stata non farsi troppe domande sulla forma e raccontare nella maniera più genuina possibile la sostanza della sensazione che ogni pezzo racconta. Non ci siamo mai posti il problema su quanto potesse essere “adatto” un arrangiamento o un testo al tema trattato. Era più questione di come potenziarlo al massimo.

In brani come “Fiori di Tunisi” e “Tavor”, esplorate sonorità cupe e cariche di tensione. Siete riusciti a trovare un equilibrio tra la crudezza di questi temi e la vostra cifra stilistica, e quale processo creativo ha accompagnato queste tracce così intense?

Diciamo che non ci siamo mai posti eccessivamente limiti. Quando abbiamo scritto Fiori e Tavor ci siamo semplicemente resi conto che ci piaceva quel suono e quello stile e quando una cosa funziona, funziona. Alla fine quando un’idea di un membro del gruppo ci ispira ci lavoriamo a prescindere dalla pesantezza/leggerezza del tema o dalla natura finale che il pezzo potrebbe avere, basta divertirsi e far divertire.

Il vostro stile musicale è radicato nell’underground bresciano e rispecchia un linguaggio crudo e diretto. Quanto è importante per voi mantenere questa connessione autentica con la vostra città natale e con le radici della vostra musica, soprattutto ora che il vostro lavoro si appresta a raggiungere un pubblico più vasto?

Essendo nati e cresciuti tutti quanto nel Bresciano, per noi casa resta sempre casa. Ci piace l’idea di condividere quello che facciamo con più persone possibili perché alla fine la musica serve anche a quello. Sono storie che possono crearne altre nelle orecchie di altre persone, non potremo mai negare o dimenticare l’importanza che la nostra città ha avuto (e avrà) per noi.

Nell’album si percepisce una sorta di nostalgia giovanile, ma anche un desiderio di dialogo con il mondo. Quale pensate sia il ruolo della musica oggi nel raccontare e dare voce alle inquietudini dei giovani, e in che modo voi, come band, cercate di stimolare questa riflessione attraverso i vostri testi?

Il titolo del disco è “Dimmi” proprio perché il filo conduttore è il fatto di sfogare un trauma o una storia passata che ha segnato i personaggi. La musica è diventato il tramite, abbiamo cercato attraverso il disco di dare la possibilità a queste tematiche di raccontarsi usando come tramite musica e testi. Speriamo di poter far divertire la gente, farla piangere magari, farla arrabbiare o empatizzare. “Dimmi” vuole essere un invito a raccontarsi, raccontandosi in primis nel corso dei brani.