SEBASTIAN DE WIL: svela “Sogni di Cera” – intervista

SEBASTIAN DE WIL: svela "Sogni di Cera" - intervista

Siamo entusiasti di condividere con voi l’intervista esclusiva a Sebastian De Wil, giovane cantautore napoletano dal talento straordinario, che ci ha raccontato del suo nuovo singolo “Sogni di cera“. Con una poesia che sfuma tra la teatralità e le sonorità neoclassiche, Sebastian De Wil ci guida in un viaggio sonoro in cui la musica si fa esperienza sensoriale, trasportandoci tra sogno e realtà. Un incontro affascinante che svela la sua visione artistica, la sua ricerca musicale e il legame indissolubile con la sua città, Napoli. Un’intervista esclusiva che va ben oltre le parole, svelando l’anima di un artista pronto a lasciare un segno profondo nella scena musicale contemporanea.

Sebastian, la tua musica sembra muoversi lungo un filo sottile tra l’evanescenza del sogno e la solidità della realtà, quasi a voler trattenere l’attimo prima che svanisca. In Sogni di cera, questo equilibrio si fa ancora più sottile: quanto è difficile dare forma sonora all’impalpabile?

<<Prima di tutto trovo la vostra interpretazione davvero affascinante, quindi vi ringrazio di cuore per questa domanda. Forse ci sono momenti in cui è necessario che questo equilibrio si faccia più sottile e non mi riferisco solo ai momenti musicali. Uno di questi è sicuramente alla base di Sogni di cera. La forma sonora è di per sé impalpabile, per quanto vogliamo essere analitici stiamo sempre parlando di onde invisibili che si propagano in uno spazio. Che senso avrebbe pretendere di esasperarne una forma quando la loro natura è di per sé inafferrabile? Per quanto mi riguarda immagini, colori, odori aiutano molto a scrivere, ma sono pur sempre strumenti che ad un certo punto devono lasciare spazio al suono e a quello di cui ha fisicamente bisogno per esprimersi al meglio. Questo per dire che non mi capita di pormi il problema di quanto sia difficile dare forma ai suoni, piuttosto ragiono molto su come farli interagire fra loro>>.

La tua voce non è solo un veicolo di significato, ma un’emanazione dell’anima che si fonde con il pianoforte e l’elettronica in un organismo unico. È possibile, secondo te, che l’identità di un artista si definisca proprio nel perdersi dentro la propria stessa opera?

<<Percepisco la mia voce come la manifestazione di musicalità più intima e sincera che io possa vivere. È ciò che mi guida attraverso i mondi sonori che provo a creare. È una mappa di decodificazione della realtà, lo è sempre stata e dubito che questo valga solo per me. È poetico pensare di potersi effettivamente perdere in quello che si crea, a me capita di entrarci così tanto da distaccarmi completamente da ciò che mi circonda. Alla fine però, quando il momento creativo sfuma, mi sento ancora più ritrovato, come se avessi conosciuto una nuova parte di me, come se ce l’avessi fra le mani e fossi in grado di osservarla e mostrarla al mondo. Non so quale dei due stati preferisco, ma è raro che mi senta effettivamente “perso”, forse più trasformato. Non so quindi se sia possibile, ma in ogni caso penso che l’identità di un artista, o di una persona in generale, non sia definibile in un unico modo>>.

Nel tuo lavoro emerge una sensibilità teatrale che non si limita a narrare, ma diventa esperienza vissuta, una partitura emotiva in cui il tempo si dilata. Quale ruolo gioca la teatralità nella tua poetica musicale? È un filtro per comprendere il mondo o una forma di resistenza alla sua banalità?

<<Mi sono sempre imposto di non analizzare e organizzare eccessivamente la spontaneità delle parole che scrivo o delle cose che racconto. Lavorando molto sull’arrangiamento musicale di un brano voglio invece che la partitura emotiva sia più spontanea e immediata possibile. Se penso alla parola teatralità mi viene in mente “esagerazione”. Ecco, forse in quello che faccio può emergere una sensibilità teatrale perché mi concedo di esagerare ed esasperare i miei stati emotivi e le mie esperienze, amplificandone i ricordi. È qualcosa che ho sempre avuto, ed è forse questo che negli anni mi ha fatto avvicinare alla musica. Più che un filtro o una resistenza quindi è una modalità che ho di rapportarmi intimamente a quello vivo>>.

Napoli, la città in cui sei cresciuto, è sempre presente nelle tue parole, ma in modo sfuggente, quasi metafisico. Non la racconti, la evochi. La tua musica è un atto di radicamento o piuttosto una fuga da ogni geografia, un tentativo di esprimere una napoletanità senza confini?

<<Il posto in cui si nasce penso confluisca inevitabilmente a scalfire la personalità di un individuo. Se quel posto è Napoli è ancora più sicuro che succeda. Il caos contrapposto alla sua unica tranquillità, l’urbanizzazione sfrenata bagnata dal mare e sorvegliata da un vulcano, lo stesso vulcano che ci ricorda ogni giorno quanto siamo umani. Tutte caratteristiche che mi hanno sempre affascinato, stimolato ma anche inquietato. La mia musica è musica e non si vuole porre come una presa di posizione con uno scopo ben preciso, ma sicuramente ci tengo al fatto che sia testimonianza di una musicalità napoletana in cui la ricerca e la sperimentazione non si esauriscono nello scegliere l’uso del dialetto come principale innovazione da dare alla classica canzone pop. Questa napoletanità è viva, esiste e merita di avere il suo spazio nella scena musicale partenopea. Sono fiero di essere napoletano, ma non ho bisogno di ricordarlo nei miei testi, preferisco concentrarmi su altro. È fondamentale per me lasciarmi ispirare dal posto in cui affondo le mie radici, come lo è poterne superare i confini per scoprire nuovi paesaggi sia emotivi che sonori>>.

Nel titolo Sogni di cera c’è una tensione tra la bellezza del sogno e la sua inevitabile liquefazione. C’è una malinconia sottile nel sapere che tutto ciò che creiamo è destinato a sciogliersi? Oppure la bellezza sta proprio nell’accettare l’impermanenza, nel celebrare il fragile istante prima che svanisca?

<<In sogni di cera forse ci sono entrambe le cose. La bellezza del sogno è inebriante, sembra durare in eterno e un attimo allo stesso tempo. Quando quest’attimo svanisce la malinconia è inevitabile. In sogni di cera però, questa malinconia ha un sapore diverso. Lo stato onirico ha coinvolto un’altra persona nella sua spirale e questa persona esiste davvero. Il risveglio dal sogno diventa anche slancio vitale, curiosità di voler rincontrare questa persona. Per questo i sogni “colano sulla realtà”, perché c’è la possibilità, per la prima volta, di condividerli davvero. Sogni di cera non è affatto quindi un brano che racconta l’amarezza di un attimo svanito, al contrario, parla della curiosità che quell’attimo ha creato, dell’entusiasmo di vivere tutte quelle cose che aspettano di essere vissute>>.

Progetti futuri?

<<Al momento fra i miei progetti c’è sicuramente quello di prepararmi all’uscita dell’album che Sogni di cera ha anticipato. Il mio nuovo album “Dentro me c’è un altro” uscirà il 28 marzo e per l’occasione ho organizzato il 27 una festa/concerto al Mamamu (Via Sedile di Porto, 46, Napoli), dove sarò accompagnato da Ylenia Attardi al violoncello e da ospiti come il cantautore Cittocito e la cantautrice NotreDam. Il mio desiderio è quello di condividere l’uscita dell’album con le persone che mi hanno accompagnato nel mio percorso in questi ultimi anni. Oltre questo ci sono altre date in programma e tanta voglia di iniziare a lavorare ad alcuni pezzi nuovi>>.

 

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