
Abbiamo raggiunto Moretti per un’intervista esclusiva. Ci sono artisti che non cercano di spiegare il mondo, ma di renderne l’assurdità un luogo abitabile. Moretti è uno di questi. Nelle sue canzoni non c’è la volontà di redimere, ma di resistere — con la voce incrinata e le mani sporche di città. “Milano”, il suo ultimo singolo, non si limita a descrivere un luogo: lo abita, lo interroga, lo contraddice. In questo dialogo, che ha il tono sommesso di una confessione e la lucidità di chi ha visto tutto ciò che c’era da vedere, abbiamo parlato di amore come resa, di musica come ostinazione, di arte come preghiera senza destinatario.
In un’epoca che consuma le emozioni con la stessa velocità con cui scrolliamo uno schermo, Moretti ci ricorda che esiste ancora un modo di dire “io esisto” che non chiede scusa.
Abbiamo raccolto le parole di Moretti come si raccoglie qualcosa che porta a riflettere e lascia un segno incisivo. Ecco cosa ci ha raccontato nel corso dell’intervista.
Nel tuo brano “Milano”, la città appare come un organismo febbricitante, in bilico tra rovina e resistenza. È possibile amare ciò che ci divora, o l’amore stesso è una forma di resa?
<<L’amore è sempre una forma di resa, anche quando non ci divora. Accettiamo di appartenere a qualcosa, di essere alterati da ciò che scegliamo. Milano è un amore tossico: ti illude di essere al centro del mondo mentre ti consuma, ti promette un posto purché tu lo meriti, senza dirti mai in cosa consista questo merito. E per quanto mi riguarda, in questo caso più di tutti, l’amore non è necessariamente consolatorio>>.
La tua canzone è un grido che si fa strada tra macerie e stratificazioni sonore. Quanto, secondo te, la musica può ancora essere un atto di ribellione autentico in un mondo che digerisce e mercifica ogni forma di dissenso?
<<La ribellione non sta tanto nel contenuto, che oggi viene prontamente assorbito, rielaborato e rivenduto sotto forma di slogan pubblicitario. Sta nel contesto e nell’intenzione. Non puoi fare la rivoluzione su TikTok, ma puoi scegliere di esistere in un modo che non sia accomodante. Puoi dire quello che pensi sia necessario dire anche quando forse nessuno lo vuole sentire. La musica, di per sé, non cambia il mondo. Diciamo però che può rovinarti la giornata quel tanto che basta per farti venire il dubbio che ci sia qualcosa da cambiare>>.
“Milano” si muove tra gioia e disperazione, tra il canto e il grido. Pensi che l’arte possa essere un’ultima forma di preghiera laica per ciò che sta scomparendo?
<<La preghiera ha un destinatario, l’arte no. È un atto senza garanzia di risposta, ma lo facciamo lo stesso, perché non farlo sarebbe peggio. Milano è questo: una mano tesa verso qualcosa che sai non risponderà, ma nel gesto c’è già tutto quello che conta>>.
Nel tuo percorso artistico hai alternato ironia e malinconia, con una scrittura che sembra sempre sul punto di smascherare il senso stesso del raccontare. Scrivere è un tentativo di dare un ordine al caos o di accettarlo?
<<Scrivere è come ordinare da bere per qualcuno che potrebbe non arrivare mai. È un atto di fiducia nel caos, più che un tentativo di dargli una forma. Non mi interessa che le cose abbiano un senso, mi interessa che abbiano un peso, che restino appese da qualche parte nella testa di chi ascolta. Se poi diventano utili, è un effetto collaterale di cui non mi preoccupo>>.
Il tuo disco nasce “complice un infortunio di cuore”, quasi a suggerire che il dolore sia un’energia creatrice ineludibile. Può esistere una grande opera senza una ferita a renderla necessaria?
<<Non lo so, non posso parlare per chi non ha mai zoppicato. L’arte senza una ferita è un esercizio di stile, e va benissimo così. Ma la necessità viene dalla mancanza, dallo strappo, da quella cosa che non si aggiusta. Chi scrive senza bisogno può fare un buon lavoro, ma chi scrive per salvarsi lascia forse qualcosa di più vivo. Io, nel dubbio, ho lasciato perdere le suture>>.
Progetti futuri?
<<Vivere. Guardare il disco uscente, suonarlo, sentire le canzoni diventare di qualcun altro. Il futuro è d’obbligo un’ipotesi e per difetto apprezzo più i sinonimi>>.
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