
Abbiamo avuto l’onore di intervistare Marilena Anzini, un’artista straordinaria capace di intrecciare con maestria il canto d’autore, le sonorità folk della world music e la sperimentazione vocale più raffinata. Il nuovo album di Marilena Anzini, Bio- , è un viaggio sonoro di rara intensità, in cui la voce diventa protagonista assoluta, esplorando territori espressivi che vanno oltre il linguaggio convenzionale per trasformarsi in pura emozione.
Direttrice dell’ensemble vocale femminile Ciwicè, Marilena Anzini ha affinato nel tempo una ricerca musicale che affonda le radici nell’improvvisazione, nel circle singing e nell’uso innovativo della vocalità come strumento narrativo e sensoriale. Bio- è un’esperienza immersiva, un dialogo tra l’essere umano e la sua essenza più profonda, tra suono e silenzio, tra armonia e caos.
In questa intervista esclusiva, abbiamo esplorato con Marilena Anzini il cuore pulsante della sua arte: il rapporto con la voce come strumento di espressione universale.
Il suo album Bio- si caratterizza per una forte sperimentazione vocale e un uso non convenzionale delle voci. Come nasce il suo approccio all’arte vocale, e in che modo la sua esperienza nell’improvvisazione ha
influenzato la composizione di quest’album?
<<Il canto è stato il mio primo approccio alla musica. Ho sempre giocato-cantato, fin da bambina: cantavo inventando le parole in inglese, seguendo la fonetica, ed ero affascinata dalle armonie vocali di Simon and Garfunkel, del Quartetto Cetra, di Crosby Stills Nash and Young…ci cantavo sopra esplorando le diverse voci. Crescendo, ho assecondato questa curiosità studiando canto e partecipando a corsi e seminari, scoprendo via via la grande ricchezza della voce umana, il suono più versatile che c’è. Grazie a Bobby McFerrin e alla sua musica ho conosciuto l’Improvvisazione vocale, che ho poi studiato con Oskar Boldre e con Rhiannon -una delle componenti storiche della Voicestra di Bobby McFerrin- e che mi accompagna ancora oggi: faccio parte infatti del Collettivo Cantincerchio, un gruppo di cantanti/docenti che si adopera per divulgare l’arte del circlesinging e dell’Improvvisazione vocale. Non è solo una pratica artistica, ma anche un modo per favorire lo sviluppo umano e sociale: oltre alla musicalità, educa alla flessibilità, alla cooperazione, alla connessione umana e…a tante altre cose.
Penso che la mia musica sia imbevuta di questa mia attitudine improvvisativa. Quando scrivo e compongo parto sempre da una sorta di flusso di coscienza: che sia una melodia, una frase o dei suoni non verbali. Poi cerco di ascoltare quello che c’è e di lasciarmi sorprendere da quello che viene dopo; cerco in un certo senso di farmi guidare da quello di cui ha bisogno la musica. A volte, nei casi migliori, accade una sorta di ‘magia’ ed è come se la canzone (o una parte di essa) si formasse quasi da sola. Poi entra in gioco anche la supervisione della mente e della teoria musicale, ma sempre in un secondo momento, e con un atteggiamento il più possibile rispettoso per ciò che è già emerso: sono convinta che se una canzone nasce in un certo modo ci sia un motivo e che questo motivo vada anche oltre la mia volontà e le mie conoscenze musicali>>.
La sua musica esplora temi universali come la vita, la vulnerabilità e la comunicazione. In che modo la sua ricerca sulla voce e sulla sua connessione con l’universo sonoro ha contribuito a dare forma a queste riflessioni così intime e universali?
<<La voce ha a che fare con tutto “l’umano” perché è l’insieme della vibrazione di tutte le nostre parti: fisica, fisiologica, psichica, emotiva e spirituale. Svolgo da tanti anni un lavoro di ricerca sulla voce con la Funzionalità vocale, fondata sulle orme di Gisela Rohmert da Maria Silvia Roveri. È una pedagogia vocale che guida alla scoperta della voce e delle relazioni che essa intesse con il nostro essere. Cantare, prima ancora che fare musica, significa entrare in relazione con sé stessi in modo profondo, significa conoscersi meglio e accedere a quella parte profonda e autentica che abbiamo in comune con tutti gli esseri umani. La voce è energia vitale, vibrazione che asseconda la nostra continua evoluzione: esserne almeno in parte consapevoli, è fonte di benessere e anche di continua ispirazione. Inoltre la voce è solo minimamente sotto il nostro controllo perché fondamentalmente è un fenomeno che obbedisce alle regole della fisica acustica ed è indipendente da noi: imparare a conoscerla significa imparare a riconoscere come queste leggi naturali agiscono in noi per poterle assecondare al fine di permettere che la voce si sviluppi sempre più. Oltre a questo c’è l’aspetto della comunicazione, dal momento che usiamo la voce sia per dire “Passami il sale” che per cantare l’Inno alla gioia di Beethoven: la voce è la stessa, ma il contenuto è ben diverso ed è diverso l’effetto che ha sia su chi canta sia su chi ascolta. Il canto amplifica la funzione comunicativa della voce parlata e la porta su un livello più alto. Non a caso le preghiere di tutte le culture spirituali sono cantate>>.
Marilena Anzini, l’ensemble vocale Ciwicè, da lei diretto, gioca un ruolo fondamentale in Bio-. Come riesce a fondere la sua visione musicale con il lavoro di gruppo, e qual è la filosofia che guida la sua direzione vocale?
<<Le Ciwicè sono un gruppo molto affiatato con cui lavoro da più di quindici anni: tutte -tranne una- facevano parte di un laboratorio, il Canta che ti passa, dove proponevo una formazione vocale e un repertorio molto vario, con brani da tutte le parti del mondo e tante improvvisazioni. Quando ho incominciato a scrivere queste canzoni con importanti arrangiamenti corali, ovviamente ho pensato a loro; prima di tutto per l’affetto e la connessione umana che si è creata negli anni insieme, e poi anche per motivi musicali: sapevo che non avrebbero avuto difficoltà ad accogliere certi arrangiamenti un po’ inusuali perché le Ciwicè sono cresciute a “pane e Circle songs” e hanno sperimentato tanto con la voce, lavorando tantissimo sul suono svincolato dal linguaggio verbale, sull’ascolto reciproco e sulla ricerca del suono di insieme.
Nella fase di scrittura e composizione prediligo una dimensione più personale e individuale: ho bisogno di silenzio interiore e di un atteggiamento quasi meditativo per farlo. Poi però sento la necessità che il brano, come un seme che ha bisogno di acqua e terra per germogliare e fiorire, si apra alla relazione e si arricchisca di altri contributi: è il momento più bello e interessante, quando dalle demo fatte con la mia sola voce sovra-registrata, sento tutti i colori delle diverse voci delle Ciwicè che si incontrano a creare un bellissimo mosaico vocale. E poi Michele Tacchi, amico carissimo e musicista-compositore straordinario, con le sue stupende linee di basso che, come radici di un grande albero, affondano nella parte più grave dello spettro sonoro e avvolgono le voci rendendo tutto musicalmente più complesso e intrigante. E infine in studio di registrazione dove il mio collaboratore storico, nonché marito, Giorgio Andreoli lavora su tutte le fasi della produzione: gli arrangiamenti finali, gli eventuali interventi di ospiti esterni, il mix, il mastering…e piano piano la composizione diventa più collettiva e corale, perché le cose fatte insieme sono sempre più belle e la creatività condivisa è molto più efficace e interessante>>.
La traccia “Pace in terra” appare come una sorta di preghiera laica per la pace nel mondo. Marilena Anzini, che ruolo ha la musica come mezzo di comunicazione sociale per lei, soprattutto in un contesto così delicato come quello
delle difficoltà e delle ingiustizie globali?
Eh…la pace nel mondo…abbiamo tanto da pregare visto che non abbiamo ancora imparato nulla! Come diceva Salvatore Quasimodo “Sei ancora quello della pietra e della fionda, uomo del mio tempo”. La guerra c’è dove c’è egoismo, avidità e fame di potere, cioè dove manca l’amore. Può sembrare una frase banale ma non lo è, è l’essenza della questione. È vero che le decisioni importanti a livello economico e politico le prendono i pochi potenti della Terra, ma queste persone hanno così tanto potere perché possono appoggiarsi su un numero sufficiente di esseri umani che li appoggia, li vota o, quanto meno, li lascia fare. La pace si costruisce a partire da ogni singolo essere umano, ma c’è bisogno di maggiore consapevolezza: le guerre sono anche quelle che si consumano nelle relazioni personali, sui social, nelle scuole, in famiglia e anche nella relazione con noi stessi. Dobbiamo educarci all’amore, che è apertura rispettosa verso l’altro, è travalicare la limitatezza del piccolo mondo del nostro io per accedere ad una sana relazione con gli altri esseri umani (e anche con la natura intera, a cui siamo intimamente connessi), è pensare ed agire per il bene comune e per il futuro. Per questo ci serve pregare: non per chiedere a Dio -comunque Lo si voglia chiamare- di risolvere magicamente i problemi per noi, ma per renderci sempre più sensibili, cioè capaci di sentire, e consapevoli, cioè non manipolabili, e capaci di agire, in quel che ci compete, per costruire armonia. E in tutto ciò la musica può avere un ruolo importantissimo perché tocca le persone, eccome! Le cambia, allarga le maglie della corazza dell’ego e ci fa contattare la nostra parte più profonda, quella più vulnerabile che abbiamo in comune con tutti gli esseri umani e attraverso la quale possiamo entrare in amorevole connessione con gli altri. Certo, qui si apre un altro tema molto spinoso: la musica ci tocca anche quando è di cattiva qualità e, in questo caso, ci cambia in peggio. È una grossa responsabilità di cui dovrebbe essere ben cosciente ogni artista e ogni operatore culturale>>.
“Gratiae”, che apre l’album, è un brano che celebra la meraviglia della vita. Come ha costruito questo inno alla gratitudine attraverso l’arrangiamento vocale e quali emozioni spera di suscitare nei suoi
ascoltatori con questa composizione?
<<Questo brano è nato il 31 Dicembre del 2022, l’ultimo giorno dell’anno, quando nelle chiese si canta il Te Deum, l’inno di ringraziamento a Dio per tutte le grazie ricevute durante l’anno. Le parole gratitudine, grazia e gratuità hanno la stessa radice latina e, tutte insieme, è come se ci ricordassero che riceviamo gratuitamente molti doni di cui essere grati. Spesso però non ce ne accorgiamo. Di che cosa sono grata oggi? È una domanda che, fatta tutti i giorni, può cambiarci profondamente: sposta la nostra attenzione dalle cose materiali a quelle più impalpabili e importanti, rendendoci consapevoli dei tantissimi doni che riceviamo ogni giorno, a partire dalla vita stessa.
Nel brano è rappresentata una sorta di oscillazione tra lo stupore e la gratitudine: le voci corali alternano suoni a bocca chiusa con altri a bocca aperta, creando un effetto “a onde”. C’è anche una sorta di percussione vocale creata con i respiri (primo segnale vitale) e un assolo senza parole che intende suggerire una sorta di grido primordiale, quello che ognuno di noi ha “cantato” nel momento della nascita. Questa è un po’ la genesi del brano, frutto di una riflessione personale che a me ha fatto bene e che per questo ho voluto condividere, con la speranza che questo bene traspaia e arrivi anche a chi ascolta>>.
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Marilena Anzini:”La voce è energia vitale”- intervista