Marco Russo: svela “Mosche” – intervista

Marco Russo: svela "Mosche" - intervista

Marco Russo – Mosche

Abbiamo avuto il privilegio di intervistare un artista dalle molteplici sfaccettature, il cantautore Marco Russo, che con il suo nuovo album Mosche ci regala un’opera di rara profondità. Questo progetto musicale si sviluppa come una riflessione introspettiva, un’esplorazione del caos esistenziale e della critica sociale, affrontando temi universali con una sensibilità unica. Marco Russo, con il suo stile che mescola funk, rap e cantautorato, non solo racconta storie personali, ma offre uno sguardo critico e al contempo autentico sul mondo contemporaneo.

Abbiamo avuto l’opportunità di confrontarci con Marco Russo su ciò che ha ispirato Mosche, il processo creativo che ha portato alla realizzazione di questo album e la sua visione artistica. Leggete cosa ci ha raccontato, Marco Russo, in un dialogo che attraversa la sua poetica musicale e la sua visione del mondo.

“Mosche” rappresenta un viaggio tra introspezione e critica sociale. Come hai trasformato l’immagine inquieta e resiliente delle mosche in una metafora universale capace di dialogare con il caos dell’esistenza contemporanea?

Mosche è un brano che sintetizza il tema centrale del disco: un viaggio tra introspezione e critica sociale. Le mosche rappresentano chi vive ai margini, osservando e resistendo in un mondo pieno di contraddizioni e disillusione. Nel brano canto: ‘Io da qui non vedo altro che mosche che volano libere sì, sopra una vita di merda.’ È un’immagine che descrive una libertà apparente, sospesa sopra un contesto degradato e stagnante, dove le vere trasformazioni sembrano impossibili.

‘Anche le pulci hanno la tosse.’ : Si tratta di un vecchio detto usato al Sud, che sottolinea come tutti abbiano qualcosa di cui lamentarsi, anche le creature più piccole e insignificanti, ma nessuno trova il coraggio di fare il primo passo per cambiare le cose. È una critica pungente a una società che si accontenta di restare immobile, nascondendo le proprie insoddisfazioni dietro delle maschere: ‘Tutti attori di sfondo di una brutta commedia, tutti colmano il vuoto con una maschera, farai qualcosa di buono prima di uscire di scena?’

Nonostante la durezza del brano, continuo a vedere una luce sempre accesa: ‘Poi per fortuna ci sei tu! Nei tuoi occhi vedo il nuovo mondo’ . Per me questa luce è la musica; per qualcun altro potrebbe essere una figlia, un amore o un sogno da inseguire. Ognuno di noi ha, o dovrebbe avere, qualcosa che scalda il cuore e alimenta la propria felicità, anche nei momenti più bui.”

Le tue tracce mescolano ritmi funky, rap e cantautorato, creando un caleidoscopio sonoro unico. Qual è stata la scintilla creativa che ha guidato questa contaminazione musicale così originale e personale?

”Il mix di generi che si avverte ascoltando il disco, non significa che io non sappia dove voglio essere catalogato. La verità è che semplicemente non mi interessa. La musica per me è un territorio senza confini, dove posso esprimermi liberamente.

Per quanto riguarda il funk, ho un tatuaggio gigante di James Brown sul braccio, e credo che questo dica già tutto. Da lui ho imparato il valore dell’energia e del groove. Sul versante cantautorale, mi reputo figlio di artisti come Pino Daniele, Alex Britti e Jovanotti, che hanno saputo raccontare le emozioni e le storie con autenticità e poesia. E poi c’è il rap, che è una parte fondamentale del mio background: oltre ad ascoltare tanto rap americano anni ’90 e attuale, sono un grandissimo fan di Neffa, un pioniere che ha saputo unire le parole e la musica in modo unico.

Il funky porta energia e movimento, il rap mi consente di esprimermi in modo diretto e crudo, mentre il cantautorato aggiunge una dimensione più intima e riflessiva. Ogni traccia per me è un viaggio, un puzzle in cui ogni stile contribuisce a creare un paesaggio sonoro unico e personale. Questa contaminazione musicale riflette anche il mio modo di vedere la vita: un continuo mix di influenze, esperienze e contrasti che, messi insieme, trovano un equilibrio nuovo e inaspettato.”

Ogni brano sembra un frammento di vita vissuta, come un diario che si apre sull’intimità dell’anima. Qual è stata la sfida più grande nel bilanciare la debolezza dei tuoi testi con la potenza delle sonorità che li accompagnano?

“Ogni brano del disco nasce da un frammento di vita reale, qualcosa che ho vissuto, osservato o sentito sulla pelle. È vero, è come aprire un diario, con tutti i rischi e la vulnerabilità che questo comporta. La sfida più grande è stata mantenere l’autenticità dei testi, che spesso esplorano fragilità, dubbi e paure, senza farli sovrastare dalla forza delle sonorità.

In Lunedì, per esempio, nel primo ritornello canto: ‘Questo è un posto strano, ti prego andiamo via,’ e in quel momento la musica reagisce perfettamente al significato del testo. Ci sono poche voci e pochi strumenti, quasi come se la canzone si stringesse su se stessa, rispecchiando quel senso di spaesamento e urgenza di fuga. È come se la musica amplificasse il messaggio, facendo spazio al silenzio e alla tensione emotiva di quelle parole.

Per me, debolezza e potenza non sono opposti, ma due lati della stessa medaglia. La musica permette di far convivere queste emozioni, di farle danzare insieme. È lì che nasce l’intensità: dalla capacità di esprimere la vulnerabilità senza paura, lasciando che il sound le dia corpo e respiro. Questo bilanciamento è stato il lavoro più difficile, ma anche il più gratificante, perché rappresenta esattamente come vedo la vita: un intreccio di momenti delicati e di forza pura.”

Da Catanzaro a Roma, il tuo percorso è segnato da un costante confronto tra le radici del Sud e l’energia della capitale. Quanto questi due mondi così diversi hanno influenzato la tua visione artistica e musicale?

“Catanzaro è la città dove sono nato e cresciuto. È il luogo dove ho costruito le prime amicizie, quelle storiche che porto ancora nel cuore, momenti che rimarranno per sempre con me. Mi ha dato l’amore per il mare e per la natura, che sono quasi sempre presenti nei miei testi. È un posto dove il tempo sembra fermarsi, regalandoti spazio per pensare e riflettere.

Tra Catanzaro e Roma c’è stato un passaggio fondamentale: l’aria di Napoli, Salerno, la Campania. Ho trascorso sei anni in questa terra, dove ho avuto la fortuna di studiare con grandi musicisti jazz e pop. Napoli mi ha regalato conoscenza musicale e poesia, è una città che amo per la sua unicità, ed è per questo che ho voluto dedicarle una canzone del disco, “Napoli”.

Roma, infine, è il caos, ma è un caos che amo. Qui convivono mille volti di mille mondi diversi. È la città dove ho incontrato altri artisti e ho iniziato a lavorare seriamente alla mia musica, grazie alla mia etichetta MZK. Roma mi ispira ogni giorno con la sua storia, il suo cinema e il suo teatro: è da sempre una fonte inesauribile di creatività.”

“Mosche” invita a trovare bellezza nel caos e autenticità nel mondo. In un panorama musicale spesso guidato dall’omologazione, come riesci a mantenere intatta la tua voce e a celebrare la debolezza come punto di forza?





Mosche nasce proprio dalla voglia di restare autentico in un panorama musicale dove spesso prevale l’omologazione. Per me, la vera forza sta nel raccontare chi sei, con tutte le tue fragilità e contraddizioni, senza paura di mostrarti vulnerabile. È lì che si trova la bellezza: nell’accettare il caos, nelle imperfezioni che ci rendono unici.

La debolezza non è qualcosa da nascondere, ma una parte fondamentale, nei miei testi cerco di celebrarla, trasformandola in un punto di forza. Quando canto: ‘Vorrei scappare via da me’ o ‘Da questa notte io non esisto,’ non sto nascondendo un momento difficile, lo sto vivendo e condividendo, e la musica diventa un ponte per farlo arrivare agli altri.

Riesco a mantenere intatta la mia voce proprio perché non cerco di piacere a tutti. Mi concentro su ciò che è autentico per me, lasciando che le contaminazioni musicali e le emozioni che vivo ogni giorno guidino il mio percorso. La vera bellezza sta nella libertà di essere se stessi, di trovare la propria luce anche quando tutto intorno sembra buio.”

 

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