
Esistono dischi che non si limitano a essere ascoltati: si attraversano, come si attraversa una soglia o un paesaggio interiore. “Anatomy of a Dream”, l’ultima opera del talentuoso chitarrista Lorenzo Iorio, edita da Filibusta Records, è una di queste rare alchimie sonore. Un album che non si accontenta di sfiorare la superficie, ma scava con delicatezza nei territori più evocativi della percezione, portando l’ascoltatore in un viaggio quasi fenomenologico, in cui ogni nota è una domanda, ogni pausa un respiro cosmico.
Abbiamo avuto l’onore e il privilegio di intervistare Lorenzo Iorio, mente e cuore di un progetto che fonde raffinatezza compositiva, sperimentazione timbrica e una visione poetica della musica strumentale. La sua chitarra non parla solo con le corde: racconta mondi, plasma visioni, costruisce ponti tra il sogno e l’esperienza. Un incontro che ha dischiuso prospettive nuove, in bilico tra la contemplazione e l’inquietudine creativa, tra la malinconia e la libertà.
“Anatomy of a Dream” è un album che sembra essere intriso di una profonda ricerca sonora. Come descriveresti il viaggio interiore che ti ha portato a creare quest’opera e in che modo la musica ha svolto il ruolo di “finestra aperta” che desideri condividere con l’ascoltatore?
<<Anatomy of a Dream rappresenta l’esternazione di un periodo di vita in cui ero alla ricerca della tranquillità, quella tranquillità che ti aiuta a ricaricare e dalla quale una volta rigenerati si può ripartire. Mi serviva trovare una direzione che portasse in un luogo sonoro poco battuto lontano dai cliché del virtuosismo, avevo necessità di crearmi un’esperienza sobria. L’anatomia del sogno vorrei descrivesse l’aspetto più intimo che ogni musicista porta dentro. Ciò che è la parte interiore di chi fa musica, quel desiderio di esprimere la propria visione del mondo, comunicare, connettersi con esso e con la gente potendo suonare il più possibile. Mi piacerebbe che arrivasse una narrazione, una storia anche se si tratta di musica senza il testo. Già dagli stessi titoli contenuti nell’album si possono aprire immagini nella mente, come aprire una finestra su un nuovo paesaggio>>.
La tua musica si ispira a grandi figure del jazz contemporaneo, come Bill Frisell, ma allo stesso tempo conserva un’anima personale e originale. Come riesci a bilanciare l’ispirazione da questi maestri con la tua personale visione musicale, creando qualcosa di unico e contemporaneo?
<<Oggi la cosa più difficile per chi vuole creare è sicuramente realizzare qualcosa di nuovo o che non assomigli troppo a qualcosa di già esistente. Si sente spesso dire che è già stato tutto inventato nella vita come nell’arte in generale e nella musica nello specifico, ma per fortuna abbiamo sempre la possibilità di personalizzare secondo il nostro gusto e secondo la nostra visione qualunque cosa, basta ritrovare un po’ sé stessi. I grandi Maestri rimangono sempre i nostri punti saldi dai quali dobbiamo attingere il più possibile, dobbiamo imparare il loro linguaggio ma non essere il loro cloni, ognuno di noi ha la propria voce e io spero che la mia non assomigli a quella di nessun altro>>.
L’album include un’incredibile varietà di emozioni, dal blues alla sperimentazione jazz. Qual è il legame tra la radice blues e l’atmosfera cinematica che pervade il lavoro, e come la tua tecnica chitarristica arricchisce questa esperienza sensoriale?
<<Il blues rende tutto più semplice a volte. Personalmente mi trasporta in America dove nacque mio nonno paterno e sua madre era di origini brasiliane, questo mi apre a ricordi di racconti fatti da mio padre e i miei zii in quei periodi dove per attraversare l’oceano ci volevano venti giorni di nave. Erano tutti dei pionieri in quel tempo, ed ecco perché per me è tutto collegato, nella musica blues vedo il film delle mie radici familiari.
I brani che suoniamo nell’album sono armonicamente semplici, ma articolati nelle strutture, a me piace suonarli armonizzando sempre le melodie, questo anche perché sono l’unico strumento armonico del trio, quindi un po’ per diletto e un po’ per esigenza, ho usato una buona quantità di reverbero e delay che avvolgono molto bene il contesto armonico, questo è una cosa che ho rubacchiato da Frisell ad esempio>>.
La partecipazione di un violinista come Mateusz Smoczynski nel brano “Vilnius Blues” aggiunge un ulteriore strato sonoro al tuo album. Come scegli le collaborazioni e quale impatto ha il dialogo tra i vari strumenti nel plasmare il messaggio musicale che desideri trasmettere?
<<Ho conosciuto Mateusz durante la pandemia. Gli chiesi di registrare una parte in un mio brano di cui ho poi prodotto un video insieme c’erano altri quaranta musicisti da varie parti del mondo. In quel periodo fu una esperienza toccante e importante. Appena ebbi la possibilità andai a Varsavia per conoscere Mateusz personalmente, lui è un musicista straordinario e una persona veramente generosa, un super talento camaleontico. Non potevo non pensare ad invitarlo a collaborare nel progetto, inoltre il suono del violino e la chitarra elettrica si miscelano veramente bene, le frequenze sonore si compensano perfettamente>>.
“Anatomy of a Dream” è un album che sembra prendere forma come un viaggio immersivo. Qual è la tua concezione del “suono come narrazione”?
<<Il suono ha un’anima, ha dei colori, a volte spinge anche il vento e muove le onde del mare, può cullarti e può renderti nervoso dipende da come siamo predisposti noi in quel momento per accoglierlo. Nel nostro concerto di presentazione di qualche giorno fa abbiamo corredato il concetto di narrazione della musica con delle proiezioni fatte sullo sfondo del palco alle nostre spalle con immagini oniriche in movimento che, a detta da chi c’era, hanno veramente fatto viaggiare l’ascoltatore>>.
Progetti futuri?
<<C’è l’intenzione di portare Anatomy of a Dream all’estero, speriamo che si allineano un po’ di circostanze che abbiamo messo in cantiere, poi se Dio vuole a settembre inizieremo a lavorare sul nuovo album>>.
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