Alessandro Di Liberto: svela “Tra Le Vie Del Borgo” – intervista

Alessandro di Liberto: svela "Tra Le Vie Del Borgo" - intervista

Abbiamo intervistato Alessandro Di Liberto, un artista che con le note riesce a raccontare storie che molti non sanno nemmeno di avere dentro. Il nuovo singolo di Alessandro Di Liberto, Tra le vie del Borgo, non è solo un pezzo da ascoltare, è un viaggio con le scarpe sporche di poesia e lo sguardo fisso su orizzonti che cambiano forma ogni volta che ci passi attraverso. Con Alessandro Di Liberto abbiamo parlato di musica, di silenzi che pesano più di mille parole, di quella voglia di cercare bellezza anche quando il mondo sembra fare di tutto per nasconderla. Ne è venuto fuori un’intervista esclusiva intensa, un incontro sincero, come certi concerti in cui basta una sola luce sul palco per sentirsi a casa.

D. “Tra le vie del Borgo” è un brano che sembra catturare l’anima di uno dei borghi più affascinanti della Sardegna, Bosa. Come sei riuscito a tradurre le immagini e le emozioni visive di questo luogo in un linguaggio musicale così ricco e affascinante?

R. Sono stato a Bosa diverse volte, se abiti in Sardegna ci arrivi con la macchina in poco tempo. Mi sono reso conto che quel luogo smuove in me qualcosa di intimo, sia durante il soggiorno che dopo il rientro: il borgo è ricco di vie strette con case variopinte e squarci che guardano sul mare, tutto ciò mi ha ispirato a scrivere un brano articolato e cadenzato in 3/4 dalla struttura estesa, che racchiude in sé tanti colori armonici e una melodia vagamente nostalgica, melodia che si sposa perfettamente con la nostalgia che ti assale una volta che da li te ne vai.

D. La tua formazione jazzistica e le esperienze internazionali sono chiaramente una parte fondamentale del tuo stile musicale. Come hai integrato queste influenze nel tuo nuovo lavoro, soprattutto in un brano così evocativo e narrativo come “Tra le vie del Borgo”?

R. A livello compositivo, aver avuto a che fare con artisti di vari stili e varie nazionalità mi ha dato la spinta a non chiudermi in un genere preciso ma anzi a cercare la mia strada artistica. Ogni musicista deve cercare la propria identità e non aver paura delle commistioni, io in quello che scrivo ci metto dentro un po’ tutta la musica che ho ascoltato e che non si limita al jazz. A livello professionale, l’esperienza conta molto: aumenta il focus su tutto ciò che fai e ti rende così capace di fare delle scelte precise, dal suono in cuffia in studio alla scaletta di un concerto.

D. Nel tuo album “Punti di Vista”, le tue composizioni sembrano spingersi verso una dimensione intima e riflessiva. Come definiresti il tuo approccio artistico al jazz oggi, in un contesto dove il genere sta evolvendo e contaminandosi con altri stili?

R. Sì, la dimensione a me più congeniale è quella che hai descritto definendola tu stesso con gli aggettivi “intima” e “riflessiva”. Mi piace l’introspezione perché fa parte da sempre del mio carattere, non amo dunque la musica urlata che mette in luce le abilità strumentali, noto che una parte del jazz attuale (e non solo) rema in quella direzione. Mi piace però anche il fatto che nell’introspezione ci sia autorevolezza, non solo nel mio ruolo di pianista/compositore ma anche da parte degli altri strumentisti. Insomma, una “zampata” felina ogni tanto non può che far bene alla musica.

D. La tua carriera, che spazia dalla composizione al live, ha visto importanti collaborazioni con artisti di fama internazionale. Qual è stato l’incontro musicale più significativo per te e come ha influenzato la tua visione musicale e la tua ricerca sonora?

R. Decisamente quello con il vibrafonista americano Joe Locke. Siamo amici, con lui ho avuto modo di collaborare per un ciclo di concerti in UK e parlare apertamente di musica, ci sentiamo anche spesso in chat. Sulla mia ricerca sonora, hanno però inciso tutti gli incontri e posso dire che ogni persona, musicista o non musicista, mi ha sicuramente dato degli input artistici in una qualche misura.

D. ”Tra le vie del Borgo” riesce a raccontare la bellezza di un luogo, ma anche la sua storia e le sue emozioni più profonde. Qual è il processo creativo che ti porta a trasformare le tue esperienze personali e culturali in musica, e come mantieni viva quella connessione tra la tua terra e il tuo strumento?

R. Difficile dirlo, è una cosa che avviene in modo abbastanza naturale. Un musicista, ma anche un pittore o uno scultore, cercano sempre di parlare di sé attraverso la propria arte. Per quanto riguarda le connessioni tra la mia terra e il mio strumento, non mi sono mai posto il problema di rappresentare la Sardegna attraverso il suono del mio pianoforte. Ci sono strumenti tradizionali come organetto e launeddas che già lo fanno in modo molto più appropriato. Quello che ho fatto in questo lavoro è piuttosto di tirar fuori la mia visione della Sardegna, le impressioni che questa bellissima terra suscitano in me dal momento in cui sono venuto al mondo.

Alessandro di Liberto: svela “Tra Le Vie Del Borgo” – intervista

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