Benna, intervista: il suo nuovo album 20×2

Benna

Benna, intervista: il suo nuovo album 20×2

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Benna, il suo vero nome è Marco Benati, è un cantautore che ama spaziare tra diverse sonorità, le sue canzoni sono estremamente trasversali ed al tempo stesso hanno sempre la sua originalità come un unico denominatore comune.

La musica di Benna rispecchia il suo animo, è sagace ed è capace di parlare al cuore.

Tra cantautorato accompagnato da stili musicali in continua evoluzione, possiamo ascoltare testi riflessivi ed ironici.

Il suo primo album risale al 2017, Benna ha esordito con il disco “Al Lupo!”(  da quest’ultimo ha estratto i singoli “Paroleperdenti“, “Iene vs licantropi” e “Lord of the ring“). Nell’anno successivo, per l’evento “Play Modena“, Benna ha realizzato il singolo “#ViAsmo. “Il pirata che ha trovato loro”, il secondo album di Benna, è giunto rappresentando una notevole maturità ( disco da cui ha estratto i singoli “Attimi di pensione“, “Saetta McQueen” e “Giochiamo“).

Successivamente nel 2020, Benna ha pubblicato il suo terzo album, “L’insegnamento dell’asino“, (disco preceduto dai singoli “Noah“, in duetto con uno dei figli dell’artista ed “Il mio vestito nuovo“, sempre dall’album “l’insegnamento dell’asino” è stato estratto l’omonimo singolo, il singolo “J AX“, “Bella Italia“).

È da poco uscito il suo nuovo album, “20×2“, un disco che rappresenta un  universo di sentimenti autentici e di stili musicali, tra poesia e musica incalzante, ogni canzone è una ricercata ed elegante risorsa per intraprendere un viaggio privato e personale, al contempo concreto e generazionale.

Abbiamo raggiunto il cantautore Benna, oltre al suo talento portentoso, durante la nostra intervista abbiamo percepito un temperamento autentico ed un animo immensamente nobile.

Benna, il cantautore, e Marco Benati, la tua indole più vera, quanto coesistono? Quanto sono autobiografici i testi delle tue canzoni?

Ciao a tutti e grazie di cuore per lo spazio che mi avete concesso. Ora partiamo! Il mio tentativo, ogni volta che faccio musica, è quello di non separare affatto Benna da Marco, anzi è proprio quello di raccontare me o, cosa penso più interessante, il mio punto di vista su determinati argomenti. Non voglio avere un personaggio, una maschera, mentre faccio quello che mi piace, perché sarebbe un po’ come inquinarlo. Sono una persona che si è posta come obiettivo quello di vivere in maniera sincera, a costo di incrinare rapporti, quindi vivrei come un fallimento il non essere me stesso quando scrivo. E proprio per questo nei miei testi c’è tanto di autobiografico, perché parto sempre dalle esperienze personali e da quello che ho intorno, che poi sono le cose che posso meglio argomentare, per tentare di esprimere concetti più ampi. L’eccezione è quando scrivo testi di puro storytelling, come ad esempio “Open” (2019) che è liberamente ispirato all’omonimo libro o “Ombre sull’acqua”, che è la storia parallela del viaggio per la vita, una storia di emigrazione come purtroppo ce ne sono tante e, allo stesso tempo, si può leggere come la ricerca del coraggio che un’emozione compie prima di essere vissuta.

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20×2 è un disco pieno di vita e di magia proprio come la cover della copertina che lo rappresenta egregiamente. Quanto ritieni rilevante la magia ai giorni nostri? Come hai scelto il titolo dell’album? Hai affermato che la creazione dell’album 20×2 ha contribuito alla tua evoluzione personale riscoprendo le tue emozioni più recondite. Come hai vissuto la realizzazione del disco?

Esattamente, la copertina rappresenta la magia della scrittura, la bacchetta magica che finisce con la punta di una penna stilografica ed il coniglio che in realtà è un origami fatto con il foglio del manoscritto della title track, idea magnificamente realizzata da Barf. Io credo che oggi la magia sia una forma di sopravvivenza, un modo di dipingere con colori sgargianti una realtà che spesso è abbastanza grigia. Io sono alla ricerca continua della magia che si nasconde nei piccoli gesti quotidiani, vorrei che la fantasia fosse un’abitudine. Ho scelto il titolo del disco ancor prima di iniziare a scriverlo, perché il disco è uscito il giorno del mio quarantesimo compleanno, pertanto “20×2” che, appunto, fa 40. Ma anche come modo di dire che mi sento la carica di un ventenne, anche se ne ho il doppio, ma anche e forse soprattutto, il fatto che dentro questo album ci sono 20 tracce, 20 tracce di me che voglio lasciare a 2 persone, i miei figli. Quindi, ancora, 20 canzoni per 2 persone. Per realizzare un disco così lungo è necessario scavare bene sottopelle, almeno lo è per me. Ho voluto fare un disco dove affiorassero le paure di un uomo comune, perché ad ammettere di avere paura ci vuole coraggio. Inoltre durante l’anno e mezzo della stesura del disco ho vissuto sentimenti totalmente contrastanti, che vanno dalla nascita del mio secondo figlio al ricovero di mia moglie per complicazioni, dalla malattia di mio padre a vari lockdown, quindi credo che alla fine sia uscito un disco che tiri fuori tante mie paure e tanti modi per affrontarla. La più grande soddisfazione sarebbe che chi lo ascolta possa trovare spunti positivi per affrontare i propri timori. Detto questo, ho comunque vissuto bene la realizzazione del disco perché avevamo un obiettivo e un desiderio che si poteva esaudire soltanto lavorando sodo e con passione. Da marzo 2020 ci siamo dati una data di uscita e ce l’abbiamo fatta.



Qual era l’emozione che percepivi maggiormente durante la stesura dei brani?

Penso che ogni brano sia un’emozione a se. Io passo attraverso diverse fasi emozionali. La prima è l’idea del pezzo che voglio scrivere, studiare un argomento, imparare cose nuove. Poi c’è la realizzazione della strumentale, dove Mirino riproduce le emozioni in musica e io mi lascio trasportare. Poi c’è il momento di farcire la torta, ovvero mettere insieme quello che ho imparato con la musica. Infine c’è il momento dello studio, il confronto con Nicholas e la realizzazione di quello che avevamo in testa. L’insieme di tutte queste emozioni si chiama chiama “canzone” e per l’ascoltatore sono 3 minuti di musica, ma per me e per noi c’è dietro un universo. Tant’è vero che una delle canzoni che preferisco del mio disco è proprio “Sai cosa c’è sotto una canzone?”



Tra i versi poetici ed autentici della canzone “La cosa più bella che ho visto”, canti “Abbiamo ali che non sappiamo di avere, ma a volare impari quando ti senti cadere”, credi che la musica possa consentire la conquista di nuove risorse per scoprire aspetti inediti di se stessi? Nella canzone “La cosa più bella che ho visto” hai collaborato con il grande Nicholas Manfredini, com’è nato il vostro featuring?

Parto dalla fine: Nicholas mi ha scoperto con il primo disco solista, era una sorta di mio fan. Quasi casualmente ci siamo presi una birra insieme quasi due anni dopo e l’ho invitato in studio, ben sapendo le sue qualità di musicista, cantautore, conoscitore della musica e avendo intuito la sua sensibilità umana. Da quel momento non ci siamo più staccati, lui cura interamente la direzione artistica dei miei dischi, scrive alle volte le sue parti, altre volte le ha “solo” interpretate. Sono sempre io che gli dico che ho bisogno di lui, ma lui c’è sempre. Inoltre, come credo fosse inevitabile, la nostra è diventata un’amicizia per me fondamentale, anche se non ci fosse la musica di mezzo. Per quanto riguarda “La cosa più bella che ho visto”, la canzone nasce con un chiaro intento: andare a riscoprire la bellezza nascosta negli angoli della vita quando questa ci mette duramente alla prova. È una canzone che ho scritto per i miei genitori e per la battaglia che stanno vivendo e quella frase nello specifico vuol dire che quando abbiamo prove ardue da superare la forza della vita ci permette di compiere atti eroici che non pensavamo di poter compiere. È proprio quando senti che stai cadendo che puoi trovare nuove forse per volare. È un concetto che esprimo spesso, con varie metafore. Si, penso che la musica possa farci conquistare nuovo coraggio, per me è così, ma è il mio modo. Ognuno, credo, ha il suo modo oppure è importante che si sforzi per trovarlo. C’è un pezzo nel disco che dice “il mio bisturi è la biro e cura tutti i mali”, ecco per me la penna è l’estensione delle mie braccia, le canzoni sono le mie ali.



“Scusate se ho ancora bisogno di rime”, nel brano “Paroleperdenti” asserisci il tuo bisogno di musica. Ricordi un momento esatto in cui hai compreso la tua necessità impellente di avvicinarti all’universo della musica?

Non c’è un momento preciso, ricordo fin da piccolo la necessità di scrivere e di scrivere in forma canzone, ma non c’è stato un episodio che mi riconduca al mio “Big Bang”. Ne ho bisogno e quello scusarsi era una sorta di provocazione, un modo di dire che ho la necessità di farlo e che lo farò anche se non dovessi avere un riscontro positivo da parte di chi ascolta. Era un periodo (il 2017, ma il brano risale al 2016) in cui ancora mi facevo condizionare dei risultati delle canzoni che pubblicavo. Ecco questo è un errore macroscopico perché ridimensiona il senso artistico di quello che facciamo. Ho la libertà di poter fare quello che voglio quando faccio musica, non devo scusarmi con nessuno se lo faccio, anche se scrivo solo “paroleperdenti”, o anche “parole per denti”, che poi è il gioco di parole del titolo. Se ho delle cose da dire, a mio modo, difendo la possibilità di farlo e questo è un sentimento innato che mi porto dietro e del quale sono molto orgogioso.



Nel brano “L’insegnamento dell’Asino” siamo di fronte a un protagonista che non si arrende, è perplesso ” A-si-no l’eterno indeciso”, tra dubbi amletici e vicissitudini quotidiane, ma più sente la catena al collo e più lotta per sentirsi libero. “Solo toccando il fondo ti spingi fino all’attico del mondo”… Qual è per te il tuo più grande sogno nel cassetto, il tuo attico del mondo?

Il brano è tratto dall’omonima storia, che mi ha illuminato molto. L’asino è un animale per cui provo grande affetto, perché è sempre sottovalutato. Penso sia un po’ il mio animale guida. Il pezzo parla, ancora una volta, della capacità di trovare una risorsa dalla crisi e più le difficoltà sono grandi e più serve grande fantasia per uscirne. I Bluvertigo dicevano che “la fantasia salva l’uomo”, è verissimo. Io ammetto di non avere grandi sogni irrealizzati, mi sento già all’attico del mio mondo. Ho una famiglia, due figli, la possibilità di fare musica, pochi amici ma sinceri. Certo, sarei ipocrita se dicessi che non vorrei che la mia musica fosse ascoltata da più persone, ma ho scelto una strada, che è quella della musica impegnata e so bene che oggi è difficile divulgare messaggi di un certo tipo quando il livello di attenzione è calato drasticamente. Sogno di poter continuare a fare musica e che qualcuno creda così tanto in me da investire sulla mia musica, perché per un artista indipendente alle volte i costi della musica sono difficili da affrontare. Però so anche che i sacrifici che faccio per continuare rendono le mie canzoni migliori. Umanamente sogno di poter essere un buon marito, padre e amico. Spero di riuscire a coltivare i valori e gli ideali che ho e che mi sono stati trasmessi. E sogno di non esaurire mai la mia fantasia.

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“Punti di domanda”, il tuo nuovo singolo, è il brano filosofico e magnetico che apre il disco, la curiosità non è nient’altro che la capacità di porsi nuove domande? Sempre in “Punti di domanda” affronti una tematica molto attuale in particolare ai tempi del covid , “Mi sento solo come tanti diamanti finiti incastonati sui solitari”, come vivi la solitudine? Quanto credi che i social network possano contribuire all’isolamento? Come ti rapporti ai social?

Ho scritto questa canzone in un momento della mia vita in cui non avevo risposte. Era appena arrivata la notizia della malattia di mio padre, una colonna portante della mia vita e continuavo a chiedermi “perché?”. Era un concetto di solitudine dovuto al fatto che nessuno poteva rispondermi, perché non c’è una vera risposta. A forza di cercarla ho pensato che se prendiamo un punto di domanda e lo tiriamo alle due estremità, si raddrizza e diventa un punto esclamativo. Quindi il concetto è che forse farsi domande e continuare a farsele significa già avere una risposta (concetto un po’ Marzulliano). La frase che regge la canzone, una di quelle che mi piacciono di più di tutto il disco è: “la vita è come una tartaruga, si muove sempre, ma lenta. E per quanto nella tua corazza sembri sicura, funziona solo se tiri fuori la testa”. Ecco, farsi domande è un modo di tirar fuori la testa dal guscio e trovare nuove risposte, quindi si, forse chiedersi le cose è proprio curiosità, ma anche coraggio. Collegandomi al discorso social, io sono un quarantenne, non posso comprendere a pieno i social. Oggi la musica si lega profondamente al concetto di followers, ma io cerco di tenermene alla larga. Se qualcuno vuole seguirmi, lo faccia perché la mia musica è di suo gradimento e non mi interesserebbe invece qualcuno che ascolta la mia musica solo perché ho tanti followers, che comunque non ho. Vivo i social con leggerezza, preferisco avere i filtri nelle foto piuttosto che nella vita. Credo che i social siano una finta cura alla paura. In realtà sono una limitazione al coraggio. Le persone hanno meno coraggio di parlare in faccia, di approcciarsi ad una persone che gli interessa, quindi sono portate a farlo attraverso i social e dall’altra parte sui questi si sentono in diritto di esprimere un propria idea che però altrimenti non esprimerebbero e questa non è una cosa positiva, a mio avviso.



“Ci ho messo la mia fantasia cucita a mano per un vestito nuovo” è un verso del testo spensierato e al contempo emblematico del brano “Il Mio Vestito Nuovo”, ennesimo capolavoro che realizzato insieme a Nicholas Manfredini. Quanto credi possa essere importante cucire un’identità originale priva di stereotipi, proprio come un vestito cucito a mano?

Credo che sia importante cucirsi addosso la propria identità, che sia o meno priva di stereotipi. Mi spiego, non c’è nulla di male se a qualcuno piace un tormentone estivo e allo stesso tempo un pezzo hardcore. Non credo sia necessario essere contro a qualcosa per partito preso. Anche noi quando realizziamo un pezzo cerchiamo di rendere l’ascolto gradevole anche se poi nel testo ci sono tanti riferimenti anche complicati da cogliere. In questo pezzo ci sono tanti riferimenti a quello che ci hanno portati a creare quel disco (L’insegnamento dell’asino, 2020) e quelle cose fanno e faranno parte di me per sempre, sono mattoncini che costruiscono l’uomo che sono e che sono solo io, per forza di cose. Nessun altro è come me e io non sono come nessun’altro, quindi credo sia importante che ognuno, attraverso le esperienze e gli insegnamenti, lavori per cucirsi addosso la propria identità, in modo da arrivare ad una totale accettazione di se stesso. Questo significa rafforzarsi anche davanti ai giudizi delle persone. Che poi sono sempre le persone che non ci conoscono a giudicarci. “Il mio vestito nuovo” è un’armatura in realtà.

Parteciperesti mai a un talent show? Quale sceglieresti tra Amici, X Factor o Tú sí que vales?

Oggi ti direi di no. Non so se questa risposta potrebbe cambiare in futuro, dovrei trovarmi nella situazione di dover decidere, ma non credo affatto nella forma dei talent come scorciatoia per arrivare alle persone. Preferisco fare un gradino alla volta e cercare di arrivare alle persone attraverso la musica e basta. Non mi sento uno da talent, non critico chi fa questa scelta, ma non credo sia la mia strada. Ecco se proprio dovessi andare, allora sceglierei quello che mi permetterebbe di lavorare con un artista (o un giudice, che dir si voglia) che mi incuriosisce. Attualmente non so chi fa parte dei vari programmi, quindi non potrei nemmeno risponderti, anche volendo.



Quali sono i tuoi programmi per il futuro?

Intanto per la prima volta mi sto godendo il viaggio di questo disco. Ho fatto quattro album dal 2017 ad oggi, ho scritto per altri artisti e fatto qualche collaborazione che è uscita e qualcuna che uscirà a breve. Ho raggiunto un livello di scrittura che finalmente mi soddisfa e quindi adesso sto studiando tanto per cambiarla e scrivere in un modo diverso a livello tecnico. Vorrei riuscire a mettere poesia nei miei testi, sto lavorando per questo. Vorrei fare un intero disco con Nicholas, dando spazio alle sue tante idee, ma vorrei farlo quando saremo in grado di promuoverlo come si deve. Vorrei tornare dopo tanto tempo ad esibirmi live, ma mi piacerebbe partire facendolo in posti molto piccoli, in acustico, chitarra e voci, magari delle percussioni. Dei piccoli concerti sottovoce, intimi. Voglio continuare a lavorare con Mirino e Nicholas Manfredini, perché la mia musica è il lavoro di 3 amici e di una squadra, anche se poi magari sulla copertina c’è solo il mio nome. A dire il vero siamo già al lavoro e abbiamo parecchio materiale, ma dobbiamo dargli la vita giusta e alzare l’asticella. Diciamo che i miei programmi per il futuro, attualmente, sono quelli di mettermi a fare programmi per il futuro! Una cosa molto importante per il presente invece: grazie per questa intervista, io sono un ringraziatore seriale, per noi piccoli artisti sconosciuti ogni spazio che ci concedete è un attimo in centro storico.